A beneficio dei miei lettori. Prima puntata. Io nel pensier mi fiction.

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Il mio romanzo ha molte anime e, forse, non ne sceglie nessuna. C’è il romanzo storico, la tragedia e la commedia, un po’ di thriller, l’avventura e il magico. Insomma tutto ciò che ha costituito il divertissement dello scrittore. Questo perché la scrittura non è solo controllo, tecnica, disciplina, officina ma anche gioco, emozione, allegria e pianto. Scrivere, insomma, è un piacere e tale spero resti per me per sempre.

L’incubazione di “Del sangue e del vino” è stata particolarmente lunga. Era nato inizialmente come romanzo storico. Poi moltissimo altro vi è diluviato dentro. Ricordi, emozioni, etnografie, immaginazioni, sogni e desideri. Per tutto quanto viene citato di storico nel testo mi sono sempre posto il problema della coerenza. Il vero doveva essere vero insomma e la fiction doveva essere fiction. Poi scrivere ha significato trasferire la visione sulla carta (virtuale o meno che essa sia) e le prospettive hanno iniziato a cambiare. Lo scrittore di un romanzo storico, prima o poi, si accorge degli errori storici che commette. La cosa affascinante è perché li commette e poi perché li corregge oppure perché li lascia in bella evidenza. I celebri errori commessi nella stesura de Il nome della rosa da Umberto Eco (il violino, i peperoni e la zucca che nel medioevo europeo non c’erano) non furono vissuti in maniera pacificata dall’autore che arrivò a correggerli trent’anni dopo e dopo aver venduto milioni di copie.

Walter Scott dimostrò molta più non chalance di Eco consegnando alla posterità alcuni anacronismi. Ivanohe si svolge nel 1194 eppure ha per personaggi un frate francescano il cui ordine ancora non esisteva, un cavaliere templare che duella col sultano di una città allora bizantina (Trebisonda), Robin Hood che ruba una tabacchiera e il tabacco nel medioevo europeo era sconosciuto.

Se il lettore si vuole divertire ancor di più basta curiosare un po’ nel web intorno agli errori e alle invenzioni contenute nel Codice Da Vinci. E’ decisamente impossibile che Brown non si sia confrontato col problema della veridicità assolutamente improbabile di quasi tutto ciò che scrive in una affascinante minestra impossibile di templari, simbolismi gotici, pentacoli e femminile misticizzante. Per cui, con grande dolore dei sostenitori di un romanzo storico perfettamente scientifico, dobbiamo pensare che Brown si sia piaciuto proprio così.

D’altra parte vorrei oltraggiosamente osservare che pure l’insospettabile Manzoni fa entrare in scena una Gertrude che all’epoca dei (suoi) fatti doveva avere cinquant’anni e non venticinque e che fa convertire l’innominato alias Bernardino Visconti nel 1629 e non nel 1615.

Anche nel mio romanzo vi sono degli errori. Forse meno di pochi. Ovviamente non ve li elencherò tutti ma vi lascio il piacere della scoperta. Non si tratta certamente di refusi e simili ma di quelli di natura “scientifica”. Storici in questo caso. Alcuni lettori me ne hanno segnalato uno che sembrerebbe proprio evidente. Ho già risposto, quasi sibillinamente, che la sua stessa evidenza dovrebbe essere un segnale interessante di per sè ma poi mi sono mosso, a beneficio del lettore, verso queste brevi note.

A un certo punto vi è un intervento di soldati spagnoli e siamo già al principio degli anni dieci del Settecento. In realtà il Regno meridionale era sotto un vicereame austriaco già dal 1707 destinato comunque a durare pochi anni. Come mai il nostro Castagna fa entrare in scena gli spagnoli proprio in quel momento “sbagliato”, fuori dal calendario storico reale?

Iniziamo col dire che è una consapevole ucronia. L’intero romanzo si costruisce su una data iniziale che è il 1668. Quasi al termine della sanguinosa Guerra di Candia, due profughi cretesi sbarcano in Calabria. Parte così questa saga di tre generazioni che culminerà tragicamente alcuni decenni dopo. A quel punto lo scrittore doveva decidere che tipo di personaggi utilizzare per l’affresco finale. Ripensare tutto lo sviluppo temporale e cronologico per proporre improbabili gendarmi austriaci, nuovi padroni dell’Europa, legittimati dalle date della Storia oppure presentare sulla scena soldati spagnoli demotivati, stanchi, male armati, autorevoli Sancho Panza, rappresentanti estremi di un impero all’irreversibile crepuscolo? E’ più affascinante Ombre Rosse o il west decadente dei fratelli Cohen? Ognuno ha i suoi gusti ma io ho preferito l’intervento spagnolo. Se Quentin Tarantino può permettersi di reinventare la morte di Hitler in Ingloriuous Basterds (prego notare che il nostro storpia pure il bastards nel titolo), permettetemi, nel mio piccolo, di poter alterare di tre o quattro anni il calendario storico del Mediterraneo dell’oramai remoto XVIII secolo. Io nel pensier mi fiction.