Umani in taxi a Buenos Aires
Avd Alvear 1690
El taximetro dice pesos 47,19
Alejandro, come stai? Sono diciott’anni che non ci vediamo. In questi casi si dice che sembra ieri. Diciamolo anche noi. Alessandro sembra ieri ma ieri non è.
Le nostre ombre impressionano l’asfalto.
Ti presento i miei tre fratelli Olimpio, Gioacchino e Domenico. Il fratello quattro è Eugenio ma arriva con un altro taxi.
No cabe. ’On trasa. Meglio niente storie con la polìcia argentina.
Alejandro come stai? Non sapevo che Patrizia fosse morta, non sapevo più niente, più niente. Niente.
Ci siamo salutati diciott’anni fa, una mattina a Reggio Calabria che facevo valige definitive per il nord e ora ti ritrovo a Baires. Buenos Aires, Baires mi pare che dite voi. Più corto. Si risparmia tempo. Lo risparmiamo e chissà poi dove lo mettiamo.
Vent’anni addietro io facevo il giornalista e tu il video operatore. Lavoravamo insieme.
Vent’anni dopo io faccio il professore a Bergamo e tu il tassista a Baires.
Non c’è male in quanto a strade che si dividono e si rincontrano all’infinito come le rette parallele in qualche lezione di geometria digerita male al liceo.
Alejandro io non ho capito mai niente né di matematica e né di geometria però fin dai tempi delle elementari la mia maestra diceva che Ettore scrive bene, Ettore deve fare il giornalista.
Io quello ho fatto. Io il giornalista e tu l’operatore. Stringevi il campo, allargavi il campo, blow up, piano americano, camera car… sì la camera car fa sempre il suo effetto.
Puntalo bene il microfono direzionale Ettore, puntalo su quello che parla se no facciamo un sonoro che non va.
Ti ricordi Alessandro… ti ricordi?
Libertad 1264
El taximetro dice pesos 92,87
Qua si sta in taxi mezz’ora, non so quanti chilometri fai e paghi solo cento pesos. Mamma mia… è una miseria… Quanti sono cento pesos con la crisi? Due euro e qualcosa? Prova a state tre quarti d’ora in taxi a Milano che poi parliamo.
Sono trentamila i tassisti di Buenos Aires. Trentamila per tre milioni di abitanti in città. Lasciamo perdere la provincia se no arriviamo a sedici o diciassette milioni. Trentamila tassisti a tre, quattro, cinque euro all’ora. Eppure questo deve essere un qualche onorario in un’Argentina che non sa più bene se il denaro sia il denaro a furia di grandi e grandissime crisi. Tutti ti fanno la battuta della carta straccia… papel de desecho… carta sporca… papel sucio… Una cosa senza valore.
Com’è la storia della Casa Rosada? La casa è rosata per compromesso. Quando l’hanno completata c’erano due partiti in Argentina, i rossi e i bianchi insomma. E siccome la Casa deve rappresentare tutti, per compromesso, queridos amigos, mescoleremo il rosso col bianco e la tinteggeremo rosa sanando tutti i conflitti! Un bel rosa compromesso alla faccia delle camicie sbottonate di Peron, dei fiumi di sangue di Galtieri, del mito rivoluzionario del Che, dei padri della patria… che ne so… tipo Gregorio Aràoz de Lamadrid o Juan Larrea. Spalmiamo un rosa su tutto. Facciamo un Rosa Argentina, un colore crogiolo, un meltingpot latino un po’ fallito, un po’ realizzato. Una nazione di italiani che parlano portegno.
L’Argentina è un teatro di luci e di ombre come il cimitero della Recoleta, uno scenario di marmo e di ossa, di ragnatele e di gesta epiche incise nella pietra. Miserie e nobiltà, questo è l’Argentina. Uno stato a base di immigrati italiani e di spagnoli che ogni tanto accoppa un poco di mapuches per questioni minerarie. O simili.
Senza sacrifici di sangue, si sa, non se ne fanno stati nazionali di tutto rispetto.
Avenida Hipòlito Yrigoyen 3950
El taximetro dice pesos 147,66
Sai che due giorni fa una trasmissione sportiva di una radio web se l’è presa col mio ultimo romanzo? Dice che non gli piace l’associazione simbolica fra Palanca e Che Guevara. Insomma il romanzo è inadeguato. Così hanno detto e mica lo hanno spiegato. Per conto mio, io dico che stiamo per umiliare i sogni. Quelli piccoli, da fanciulli. Quelli ingenui questo dico. I sogni sono inadeguati, sissignore. Sono obsoleti i sogni, non provate a farne.
Tanto Che Guevara vive anche se solo su magliette e portachiavi souvenir in qualche negozio di Baires, mica tutti. Eppure il Guerrillero Heroico era portegno, verdad? No, era di Rosario. Ah, mi ero dimenticato… L’uomo dimentica, gli argentini pure e quelli della radio non mi lasciano sognare a modo mio. Massimeddu io penso che dovremmo ribellarci. Ribellarsi è giusto, ribellarsi è possibile.
Insomma questa cosa c’è… Gli argentini sono tanti e sono sempre peronisti pure quando sono antiperonisti. Gli uruguaiani sono più di sinistra. Gli ultimi rimasti dopo che si è inabissato Lula in Brasile.
Ho comprato un portachiavi col Che per una mia collega. Devo farmene uno io con Palanca. Non credo che saranno capaci di proibirmelo quelli della radio.
Reconquista 572, esquina Tucumán
El taximetro dice pesos 202,31
Ti ricordi quel servizio del 1998 Alessandro? Andavamo a Melissa per i cinquant’anni dell’occupazione delle terre e della strage di Fondo Fragalà. Andavamo proprio a Fondo Fragalà a intervistare un vecchio capo contadino. Vatti a ricordare ora dopo venti anni come si chiamava.
Era tutta campagna e credo lo sia ancora.
Erano stati tutti molto gentili. Trovammo pure il sindaco, due vigili urbani, qualche altro vecchio sindacalista a Fondo Fragalà.
Pensai che era una campagna spoglia e che quel pendio appena accennato e pieno di pietre sapeva ancora dell’abbandono e dell’incolto.
Il nostro anziano testimone era di pelle scura ma bianco nei capelli. Magro, gli occhi vivi. Si mise a raccontare. Ti ricordi Alessandro? Tu lavoravi alla betacam e io ero in cuffia, facevo l’audio.
Il racconto cresceva di tensione sino alla scena del graduato che ordina alla polizia di sparare… Fuòcco! … Fuòcco!
Il vecchio capo contadino si fermò. Riviveva chiaramente tutto. Aveva le lacrime dentro agli occhi. Poi si girò verso fondo Fragalà deserto. Si girò, alzò il pugno chiuso e disse: “Grazie fratelli che siete morti per noi”.