08
Giu
2017

Nino… now is in the Cosmic Ear

Nino

Antonino Mazza è stata una delle più brillanti voci della letteratura canadese contemporanea. Proprio lui che era calabrese, di San Roberto d’Aspromonte. Oggi che scompare di scena non trovo modo migliore per onorare la sua memoria che ripubblicare una mia vecchia traduzione di una delle sue liriche più amate. Addio Nino, carissimo e gentile amico …

(Immagine: Antonino Mazza, Ottawa, 1990. Particolare da foto di Salvatore Piermarini)

 

La nostra casa in un orecchio cosmico – Antonino Mazza
traduzione di Ettore Castagna

In un orecchio cosmico di cime affilate e di declivî
dove ginestra e ciclamino in fiore
sono fianco a fianco con gli alberi di limone
vi è la casa dove sono nato.
Questa casa… guardala con gli occhi
di un bambino.
Un villaggio di campane affollato nella strada di velluto,
senza marciapiede. Domenica mattina, senza lunedì.
Com’è? Io stavo correndo a casa, v’erano ciliegie
mia madre aveva il canto di un’usignuolo
fra le labbra?
E nel pomeriggio? Siesta!

Il sole
era un magnete al vertice di un pianeta trasparente
E la nuvola? Il fiato ardente del Sahara fece turbinare
una sola nuvola, sopra il mare,
sopra la Sicilia,
fino a che, avvicinandosi al duro Aspromonte, fragile d’umidità,
essa si trovò… pronta a squarciarsi.
Ed esplose!
raggiungendo, violentemente, attraverso le stoppie testarde,
la terra.

Dopo il primo scroscio sui tetti di tegole indurite,
i torrenti sinuosi come serpenti d’argilla,
mutavano il loro corso, fuori dalle foreste di betulle,
giù per i ripidi pendii vulcanici,
lentamente,
come per ammirare la grazia del panorama austero: le erbe di vento (1)
gialle e rosa risplendenti sulle balze viola
e sulle steppe
la bianca coperta dei fiori d’arancio.
Prima della fine della pioggia mi sarei ritirato
nell’orecchio di mia madre, in silenzio.

Per quattro anni sognai il ritorno di mio padre.
Era un sogno di bimbo.
Era a bordo di una barchetta di porpora, ritornava
alla nostra bella Calabria.
Terra dei Fenici e degli Etruschi, bagnata
dal mare di Ulisse.
Per quattro anni lo attesi su una spiaggia petrosa.
Da dove potevo vedere i mandorli mescolarsi con le piante
d’ulivo
sulle colline,
e la casa ove sono nato.
Era andato a portare doni al mondo.
Sarebbe tornato, presto.

Mi sarei svegliato alla melodia degli usignoli.

Ed il sogno? E’ sera, ma non è buio. Le campane muoiono
nella strada dal blu profondo. Il cielo è un paradiso
di lucciole. Gli aromi dei lillà, dei limoni,
diluviano il tepore e la brezza. Il mare è uno specchio
di stelle purpuree. Stiamo cenando in terrazzo stanotte,
nell’aria di cristallo la luna è luce splendente.
Mantengo il ricordo di questo regalo cosmico
nel mio sonno.
Se il sogno non si fermasse, se la parola
se la casa
fosse nella parola e noi, per caso, dovessimo incontrarci,
la mia casa sarebbe la tua casa, prendila.

1) Erba di vento è un’espressione mutuata dal dialetto. Erba ‘e ventu  sta ad indicare un’erba selvatica e dalla  crescita casuale. Affidata al vento, appunto.

 

 

31
Mag
2017

Il 2 Giugno a Salonicco

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Reading/Concerto “Del sangue e del vino”
con Ettore Castagna e Phaidon Hadjantoniou
To Oraion Depot
Via Vafopoulou, 18, Thessaloniki, Grecia
Ore 19.00
Un po’ un reading un po’ un concerto, presentazione in Grecia del primo romanzo di Ettore Castagna, “Del sangue e del vino”
La serata vede dialogare Ettore Castagna e lo storico dell’arte Phaidon Hadjantoniou sui temi del romanzo.
Guest star Mimmo Mellace.

10
Mag
2017

E anche su Il Foglio …

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“Un affresco visionario dell’Aspromonte grecanico ove il sapore metallico del sangue sgorgato con ferocia si mescola col profumo onirico del vino rubino”.

Oggi, a pag.3 di Il Foglio in edicola trovate la recensione di Gabriella Cantafio su “Del sangue  del vino”

Versione web:

http://www.ilfoglio.it/libri/2017/05/10/news/del-sangue-e-del-vino-133757/

05
Mag
2017

5 Maggio 2017… eccomi apparire sul Corriere della Sera …

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O MakriDimitris è categorico nel suo sms: Guarda il Corriere della Sera, si parla del tuo romanzo. E io non posso disobbedire a MakriDimitris. In fondo oggi è il 5 maggio 2017 e non bisogna dimenticare che Napoleone Bonaparte è morto 196 anni fa. Insomma, il momento è solenne. Esco dal lavoro e vado al bar di fronte che è anche giornalaio. Cinese ma giornalaio. “Per favore il Corriere della Sera” dico. Lui mi guarda dal banco del caffè. Mi raggiunge verso quello dei giornali. Si ferma e si inchina lievemente, rispettosamente. Come per dire che compie con sacralità la vendita del giornale. Dice con serietà officiante: “Colliele di Sela… un eulo e cinquanta”. Mi viene da dire spontaneamente: “glazie!” Devo però ammettere che mi sento un poco scemo. Apro d’un fiato a pagina 31 ed eccomi. Per gentile attenzione di Francesca Bonazzoli sul Corriere ci sono un poco io e un poco “Del sangue e del vino” ad aprire quest’articolo sulla Calabria Greca. D’altra parte O MakriDimitris mi aveva tempestivamente avvertito…

23
Apr
2017

La giornata mondiale della giustizia sommaria

Racconto autobiografico breve per tre brevissimi episodi18057973_10155287025915909_6433485014082040087_n

Episodio 1) Bergamo
La mia banca mi chiede di passare a firmare una dichiarazione che non sono cittadino americano… pare che lo chiedano a migliaia di utenti…mi viene da dire che la cosa ha una sua comicità. Ho detto al funzionario che mi ha telefonato che un cugino di primo grado di mia madre, nato a New York dai miei prozii emigrati verso il 1918, che combatteva come pilota USAF, mori abbattuto sulla Sicilia nel ’43… il funzionario ha esitato ma poi ha riso con me.


Episodio 2) Bergamo
Sono fermo al semaforo. Fa caldo, finestrino abbassato. Siamo in pieno centro. Mi arriva una telefonata. Rispondo per dire: “guarda che sta per scattare il verde ti chiamo dopo”… ma lo dico in dialetto, ridendo, ad alta voce. Ho l’impressione che qualcuno mi senta. E’ vero. Mi affianca un signore coi capelli bianchi, giubotto blu e una bici scardellata. “Polizia Locale” mi dice. “Lei è in contravenzione”. Lo guardo incredulo. Mi sorpassa (tanto sono fermo), sale sul marciapiede e mi guarda. Fa come per volersi prendere la targa. Io lo guardo, lui mi guarda. Poi scatta il verde. Io penso che è un matto e me ne vado. Chiamo alla polizia locale e chiedo. Mi affianca un tizio così e così, ne sapete nulla? No, non siamo noi. Ok, allora credo che si deve essere trattato di uno sceriffo bergamasco autonominato, il Pecos Bill del quartiere Malpensata.


Episodio 3) Bergamo
Arrivo a casa ed apro la buca dello posta. Multa dell’Ufficio Iva. A febbraio 2016 dovevo depositare una delega a 0 (Zero), ripeto zero euro dovuti, ripeto una formalità. Me l’ero scordata e l’ho depositata a luglio 2016. 111 euro di multa. 111 euro di multa perché gli dovevo zero euro e ho ritardato a comunicarlo.
Questo non è più Pecos Bill, credo che sia Buñuel…
Così è andata una strana giornata bergamasca di aprile 2017. Deve essere stata la giornata mondiale della giustizia sommaria: devo giustificarmi di non essere americano comunque, uno sconosciuto mi multa per finta sul nulla infine mi arriva una multa vera sempre sul nulla…

02
Mar
2017

Un pezzo della mia storia …

Minuto

Il professore Domenico Minuto non è su Facebook ma è, fra gli intellettuali calabresi, qualcuno che ha segnato il mio percorso a partire da una primavera del 1976 quando venne a parlare al Liceo Classico di Catanzaro. Era una delle prime cose che organizzavo da ragazzo sul mondo  bizantino e la grecità calabrese. Ieri mi manda in privato alcune note amichevoli sul mio romanzo “Del sangue e del vino” che pubblico col Suo permesso.
“Mi sembra che sia un racconto gagliardo e fantasioso, con parecchi richiami simbolici. Interpreta ed accentua i costumi dei grecanici, con le luci della loro generosità, impulsività, grecità dalle misteriose origini, grande immaginativa, dialogo di amore e paura con la natura; e le ombre della ristrettezza di vedute, della sospettosità e permalosità, della chiusura sociale; della vita musicale ed altro. Grazie, Ettore, greco di Calabria”.
Mimmo Minuto

12
Mag
2016

“U Sonu” compie dieci anni

Foto del 12-05-16 alle 22.57

Dieci anni dalla prima edizione di “U Sonu – La Danza nella Calabria Greca”. Un libro (e un cd) che nel suo piccolo ha cambiato un po’ la mia vita. Sono molte le persone con le quali ho un debito di riconoscenza per l’aiuto nella ricerca che ha portato all’edizione di ” Sonu” nel lontano 2006 e con l’occasione un caro saluto a Diego (i Dimitri) non perchè sia su facebook ma perchè è il più grande antropologo che in realtà io abbia mai conosciuto …

16
Feb
2016

La Riviera su “Tradizione e Improvvisazione”

Ringrazio “La Riviera” e Larosa per questo articolo sullo stage “Tradizione e Improvvisazione” – Febbraio 2016 – Siderno (RC)1213

La riscoperta della Lira passa da Siderno Superiore

Dom, 14/02/2016 – 14:47

Il racconto di una giornata spesa a conoscere suonatori, maestri, ballerini e appassionati della lira calabrese che vivono la loro passione autofinanziandosi e senza la ricerca di emolumenti diversi dal loro amore per la musica, per esser più espliciti senza chiedere una “lira” a nessuno.
Tra carri in processione, maschere vaganti, coriandoli e stelle filanti danzanti nell’aria fresca di questo periodo carnevalizio, che hanno attratto e affascinato gli abitanti della Locride un evento è forse passato un po’ in sordina.
Mi riferisco a uno stage di Lira calabrese, tenutosi a Siderno Superiore lo scorso week-end, organizzato dal professor Ettore Castagna e patrocinato dal comune di Siderno.
Curioso per natura, domenica sono andato a Siderno Superiore e nel solito scenario da paese sospeso nel tempo, tra vicoli e vedute mozzafiato, si poteva udire, piano e dolce, un suono, una melodia, provenire da palazzo De Moja che, irradiandosi nell’aria pungente, quasi la mitigava col suo calore tonale.
Spengo anzitempo una sigaretta ed entro.
Incontro Sara e Marisa, mi parlano, col sorriso negli occhi, della loro passione per il ballo popolare e mi fanno da Cicerone per le sale del palazzo fra altri ballerini, suonatori e corsisti, che sotto l’abile guida del professor Castagna, si impegnano a far rivivere uno strumento troppo a lungo rimasto nel dimenticatoio.
Come un intruso, un ladro, guardo, ascolto, cerco di fotografare quel clima di gioia, di socialità che si respira, voglioso di rubarne un po’ e ansioso di parlare con il responsabile di quest’atmosfera onirica.
Ettore Castagna finalmente si concede e concede ai suoi una pausa, stanco per il duro lavoro, ma per niente schivo e profondamente cortese, si ferma a saziare la mia curiosità.
Inizia col dirmi che il corso, nato 6 anni fa, si chiama “tradizione e improvvisazione” e dopo essersi svolto per 5 anni nel geracese si è spostato, grazie all’interessamento dell’assessore alla cultura Ercole Macrì, nel luogo che gli è più consono, Siderno, dove la tradizione della lira era più radicata e che può vantare il ricordo di uno degli ultimi suonatori e costruttori dello strumento, Peppe Fragomeni, detto ‘U Fanarra. Mi racconta di sentirsi onorato per aver partecipato al gruppo di studiosi che si è occupato del recupero e dell’etnografia di uno strumento che, fino a non più di 30 anni fa, si riteneva ormai estinto e che oggi vive una seconda primavera attirando persone, dall’Italia e dall’estero, vogliose di indagarne non solo la musicalità, ma quella convivialità che era alla base del mondo contadino che ne ha tramandato il repertorio fino ai nostri giorni.
Affascinato dal suo raccontare, mi perdo in silenzio in quella prosopopea da amante antica che Ettore fa della Lira; soggetto e non più oggetto, dalla forma specifica, piriforme o a lancetta, che mi dice troviamo sostanzialmente identica in Calabria, nei Balcani, in Turchia e nelle isole greche; dotata di una voce propria, che parla una lingua arcaica, la lingua di quel mondo medioevale che le ha dato i natali e dei popoli bizantini che ce l’hanno tramandata.
Proprio per questo suo essere “antica” o per le sue scale modali considerate démodé, il professor Castagna, mi confessa che l’esplosione di “festival folk-pop”, come li chiama lui, offre al pubblico un’idea distorta della voce della lira, che rendendola commerciale e conformata all’estetica dominante la “Sanremizza” e così facendo la decontestualizza da quell’ambiente rurale del quale è espressione.
Quel mondo bucolico dei nostri nonni, (continua), che attraverso la musica risanava lo spirito in momenti di forte aggregazione sociale, il cui zenit si manifestava nel ballo sulle note della lira, ballo che niente o poco ha a che vedere con quello “discotecaro” propinatoci dai gruppi folk alla moda o da sedicenti istruttori, che si beano di poter trasmettere, in poche ore, una tradizione secolare ed estremamente diversificata.
La diversità di approccio che noi abbiamo è proprio qui; noi, incalza il professor Castagna, non abbiamo né fini economici, né intenti esibizionistico-edonistici, perciò la nostra ricerca sul repertorio tradizionale della lira, o sulla performativa del ballo, anche quando punta all’innovazione, lo fa rispettandone le radici storiche, non dovendo preoccuparsi di rispettare i canoni stilistici graditi al grande pubblico, e cercando di difendere “il fiore della nebbia dall’omologazione dei bouquet della sposa”. Io mi dice: “Al folk da palcoscenico preferirò sempre il folk dalla socialità analogica, quella socialità che esalta i momenti di aggregazione intorno ad un tavolo sicuramente più adatta a rappresentare i valori che veramente contano nella mia vita: l’amicizia, la cordialità e il rispetto per le diversità culturali e caratteriali che contraddistinguono il genere umano”.
Già abbastanza colpito da quello che avevo visto e sentito e dalle spiegazioni del professore, che ha avuto il merito di far capire, a un profano come me, la necessità di difendere questo nostro bagaglio culturale da quella globalizzazione da copertina che vorrebbe omologare tutto e tutti a un modo “corretto” di pensare e sentire, accetto di fermarmi a cenare con il gruppo per addentrarmi maggiormente nel loro mondo, nella loro visione anticonformistica del folk.
Tra una portata di pasta e piselli e una di carne, tra un’insalata e un mix di piatti volutamente appartenenti a quella dimensione popolare, a quella gastronomia povera, ma incredibilmente gustosa dei nostri nonni, risuonano le lire dei 40 corsisti, i canti potenti di stornellatori locali, zampogne e flauti venuti a salutare e contrappuntare la prima donna bizantina che non sembra affatto disturbata, né dal chiacchiericcio allegro dei commensali, né da quel tintinnio che fanno i “picciriji di vino” quando si scontrano in aria prima di esser bevuti.
Tra un bicchiere e l’altro continuo a chiacchierare, con Giulio amico romano di vecchia data, che non sapevo anche abile suonatore di lira calabrese, e con Vincenzo Piazzetta, lametino ex commercialista, che per amore del mondo pastorale si è reinventato abilissimo costruttore di lira.
Mi parla del suo lavoro, della sua passione, della sua nuova vita felice da artigiano metodico, preciso; mi racconta che la lira è uno strumento scavato in unico blocco di legno composto da una tavola armonica con due fori, da un gruppo anima-ponte, dai piroli a inserimento sagittale e dalle tre corde in budello di animale e mi spiega l’importanza che ogni singolo elemento ha nella realizzazione del tutto. Così, passando da un excursus botanico sui legni più adatti al corpo, a uno zoologico sugli animali le cui interiora sono più idonee per le corde, mi immerge nel suo quotidiano, nella sua spasmodica ricerca sugli strumenti dei suonatori classici, come la lira del Barilli, che rappresenta ciò che uno Stradivari è per i violinisti, fino a giungere ai modelli contemporanei sviluppatisi dalle varianti generate per un’errata copia dell’antigrafo.
La passione con la quale descrive il suo lavoro quasi contrasta con le cicatrici che segnano le sue mani, tutte ricordate con un sorriso, a volte addirittura collegate a un’onomastica ben precisa della lira responsabile, la “Scienziata”, la “Bastarda” e via dicendo, che ben evidenzia il viscerale rapporto che l’artista ha con la sua opera.
Un solo nome e tre anime che si fondono in un sodalizio eterno, questa è una lira per Vincenzo Piazzetta. Dice: “L’anima intrinseca dello strumento, commistione di quelle parti che amalgamandosi fanno l’unità; quella del costruttore con la sua tecnica, il suo estro l’umore che aveva mentre la costruiva; infine l’anima del suonatore, che spesso interrogo per conoscere meglio, per capire la natura della persona alla quale concederò mia figlia, regalano alle mie Lire una voce unica, ogni volta diversa e mi rendono non solo un costruttore, ma un grandissimo musicista, poiché ogni volta che qualcuno suona le mie creazioni, ovunque egli si trovi, è come se anche una parte di me fosse lì a suonare con lui”.
La mia serata è poi continuata tra musica, risa, chiacchiere, balli e altro vino, tanto vino… tanto da non ricordare oltre quello che ho già racconto, ma non abbastanza da cancellare le ineffabili emozioni provate immergendomi in un mondo che conosco poco, ma che difficilmente dimenticherò.

Autore:
Vincenzo Larosa

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