Racconto tratto da:
Ettore Castagna e Salvino Nucera, Sette Canzoni Orientali, Giuseppe Pontari Editore, Reggio Calabria, 1999, n.82 pagg
Nell’autunno del 1976 avevo appena compiuto sedici anni, ero alto 1,78 e pesavo circa cinquanta chili. Praticamente tutto pelle, ossa ed un’enormitĂ di capelli.
“Alu mundu tuttu è possibila – dicevano i miei compagni di classe – tranna n’ominu ‘ncinta e Castagna zassu (“Al mondo tutto è possibile, tranne un uomo incinto e Castagna grasso”). L’incrollabile assunto della mia magrezza cadde vent’anni dopo ma a quel tempo essa sembrava intramontabile. Faustino, uno dei miei compagni di classe, aveva da poco comprato una vespa 50, quella che si poteva portare con i quattordici anni compiuti ed ero, forse per le mie doti di leggerezza ed aerodinamicitĂ , il suo secondo favorito.
Il Liceo Classico di Catanzaro era, in quegli anni, una vera scuola degli anni ’70: Casinista, protestataria, c’erano frange molto politicizzate. Non saprei dire cosa rimane oggi di quel modo di vivere la giovinezza ma poi questo, come si potrebbe dire, sarebbe un altro viaggio.
Sta di fatto che una mattina di ottobre, a scuola, la nostra nuova insegnante di Greco, Velia Critelli, ci disse che a Catanzaro sarebbe venuto per una conferenza l’eminente professore Rohlfs e ce lo presentò nei dettagli della sua giusta fama.
Io non so esattamente cosa scattò in me e Faustino. Qualcosa scattò. Sta di fatto che quello stesso pomeriggio decidemmo che andavamo a trovare Gerhard Rohlfs e che nulla poteva trattenerci.
Partimmo, sul vespino nuovo nuovo di Fausto che aveva anche il blocco dell’accelleratore per il rodaggio. Venti all’ora circa come massima velocitĂ di crociera seppur con due leggeri studentelli a bordo.
Non era freddo ma pioveva e noi dovevamo andare a Copanello. Rohlfs alloggiava all’hotel “La Baronessa”: un sito splendido su una scogliera magica che oggi è un parco naturale ed un museo.
Non si capiva cosa ce la facesse fare a tutti e due sul vespino, a venti all’ora (che poi erano dieci perchè Faustino guidava da poco ed era prudente), sotto la pioggia battente e con l’abbigliamento quasi estivo per l’ottobre calabrese ancora caldo. Nulla riuscì a fermarci.
Dopo almeno un’ora e mezza per fare quella trentina di chilometri spuntammo sul piazzale de “La Baronessa”. Fu così che i camerieri videro comparire due pulcini bagnati dal portone. Io avevo gli occhiali pieni d’acqua e rischiavo continuamente di inciampare. Chiedemmo del professor Rohlfs. Vedendo i soggetti un po’ bizzarri il cameriere si preoccupò di non disturbare l’eminente studioso e cercò di dissuaderci. Mentre ci arrabbattavamo a spiegare “che sì, che no, che siamo due studenti del Liceo Classico di Catanzaro…” giunse una voce dal fondo della sala, da un un tavolino un po’ in disparte: “Avanti, avanti… li lasci pasare per favore… Sì, li lasci pasare e ci porti quattro tè!”
Un signore anziano con la faccia rossa rossa ed i capelli bianchi ritti in testa aveva parlato così e con un accento un po’ tedesco. Accanto a lui un ragazzo alto alto con gli occhiali, camicia e cravatta. Erano entrambi in piedi ed il ragazzo ci mostrava gentilmente le sedie di fronte a loro invitandoci a sedere con lo sguardo.
“… e chissu esta Rohlfs?” Mi chiese Faustino con un filo di voce, quasi deluso e sgomitando lievemente verso di me.
“... e cu volivi, Cary Grant?” Risposi ridacchiando sotto i baffi.
Ci aspettava una calda teiera fumante sul tavolinetto e la scena, vista da fuori, doveva essere spassosa. Da una parte due intellettuali tedeschi seri e compassati, dall’altra due studentelli calabresi bagnati fradici di pioggia e molto imbarazzati.
Fausto taceva. Io mi presi di coraggio e dissi: “Studiamo al Classico, a Catanzaro… la nostra professoressa ci ha parlato dei greci di Calabria…”
“Ah… i greci di Calabria, magnifico! – irruppe Rohlfs – Cosa sapete dei greci di Calabria? Dove vifono sulla costa o all’interno?”
Io iniziai a sgretolarmi, avevo beccato un altro che mi faceva l’interrogazione. Ma stavolta al pomeriggio e fuori scuola. Doveva essere una trappola. Comunque, non lo sapevo e tirai a indovinare: “…sulla costa, credo…”
“Sbagliato! – ridacchiò Rohlfs – sono nell’interno…”
Stavo iniziando a pentirmi di quel viaggio sotto la pioggia ed iniziai ad arrossire. Ma Rohlfs dovette avere pietà di me e Faustino e ci invitò a bere il tè ed a prendere qualche biscotto. Poi iniziò una dotta spiegazione che ascoltammo a bocca aperta capendo molto poco. Il limite, purtroppo, era tutto nostro.
Alla fine ci regalò una pagina autografa del suo vocabolario e ci disse che avrebbe parlato a Catanzaro al Circolo Unione due giorni dopo… “Venite a sentire…” e noi annuimmo subito vistosamente. Oramai eravamo “amici” del grande Gerhard Rohlfs.