25
Set
2017

Tempi Lenti… un video del 2004

Riemerge oggi dal mio archivio “Tempi Lenti”, un video del 2004 ma che qui vi propongo nella versione estesa (e inedita) del 2005.

Tempi Lenti è costituito da “foto in movimento”. Si tratta della sezione audiovisiva di una mia mostra fotografica tenuta a Salonicco (Grecia) nel 2004 “Magna Grecia, To Sinertima ce to Pigadi / La Memoria e la Fonte – Materiali di Antropologia Visiva”, dal 2 al 22 febbraio 2004, Ass. Cult. LEFKITH.

Immagini girate in Calabria fra il 2000 e il 2003. Riprese e montaggio di Ettore Castagna ©

 

 

07
Set
2017

A beneficio dei miei lettori. Terza puntata. Come fu che il piccolo Castagna conobbe il grande Rohlfs

Racconto tratto da:

Ettore Castagna e Salvino Nucera, Sette Canzoni Orientali, Giuseppe Pontari Editore, Reggio Calabria, 1999, n.82 pagg

Rohlfs

Nell’autunno del 1976 avevo appena compiuto sedici anni, ero alto 1,78 e pesavo circa cinquanta chili. Praticamente tutto pelle, ossa ed un’enormitĂ  di capelli.

Alu mundu tuttu è possibila – dicevano i miei compagni di classe – tranna n’ominu ‘ncinta e Castagna zassu (“Al mondo tutto è possibile, tranne un uomo incinto e Castagna grasso”). L’incrollabile assunto della mia magrezza cadde vent’anni dopo ma a quel tempo essa sembrava intramontabile. Faustino, uno dei miei compagni di classe, aveva da poco comprato una vespa 50, quella che si poteva portare con i quattordici anni compiuti ed ero, forse per le mie doti di leggerezza ed aerodinamicitĂ , il suo secondo favorito.

Il Liceo Classico di Catanzaro era, in quegli anni, una vera scuola degli anni ’70: Casinista, protestataria, c’erano frange molto politicizzate. Non saprei dire cosa rimane oggi di quel modo di vivere la giovinezza ma poi questo, come si potrebbe dire, sarebbe un altro viaggio.

Sta di fatto che una mattina di ottobre, a scuola, la nostra nuova insegnante di Greco, Velia Critelli, ci disse che a Catanzaro sarebbe venuto per una conferenza l’eminente professore Rohlfs e ce lo presentò nei dettagli della sua giusta fama.

Io non so esattamente cosa scattò in me e Faustino. Qualcosa scattò. Sta di fatto che quello stesso pomeriggio decidemmo che andavamo a trovare Gerhard Rohlfs e che nulla poteva trattenerci.

Partimmo, sul vespino nuovo nuovo di Fausto che aveva anche il blocco dell’accelleratore per il rodaggio. Venti all’ora circa come massima velocitĂ  di crociera seppur con due leggeri studentelli a bordo.

Non era freddo ma pioveva e noi dovevamo andare a Copanello. Rohlfs alloggiava all’hotel “La Baronessa”: un sito splendido su una scogliera magica che oggi è un parco naturale ed un museo.

Non si capiva cosa ce la facesse fare a tutti e due sul vespino, a venti all’ora (che poi erano dieci perchè Faustino guidava da poco ed era prudente), sotto la pioggia battente e con l’abbigliamento quasi estivo per l’ottobre calabrese ancora caldo. Nulla riuscì a fermarci.

Dopo almeno un’ora e mezza per fare quella trentina di chilometri spuntammo sul piazzale de “La Baronessa”. Fu così che i camerieri videro comparire due pulcini bagnati dal portone. Io avevo gli occhiali pieni d’acqua e rischiavo continuamente di inciampare. Chiedemmo del professor Rohlfs. Vedendo i soggetti un po’ bizzarri il cameriere si preoccupò di non disturbare l’eminente studioso e cercò di dissuaderci. Mentre ci arrabbattavamo a spiegare “che sì, che no, che siamo due studenti del Liceo Classico di Catanzaro…” giunse una voce dal fondo della sala, da un un tavolino un po’ in disparte: “Avanti, avanti… li lasci pasare per favore… Sì, li lasci pasare e ci porti quattro tè!”

Un signore anziano con la faccia rossa rossa ed i capelli bianchi ritti in testa aveva parlato così e con un accento un po’ tedesco. Accanto a lui un ragazzo alto alto con gli occhiali, camicia e cravatta. Erano entrambi in piedi ed il ragazzo ci mostrava gentilmente le sedie di fronte a loro invitandoci a sedere con lo sguardo.

… e chissu esta Rohlfs?” Mi chiese Faustino con un filo di voce, quasi deluso e sgomitando lievemente verso di me.

“... e cu volivi, Cary Grant?” Risposi ridacchiando sotto i baffi.

Ci aspettava una calda teiera fumante sul tavolinetto e la scena, vista da fuori, doveva essere spassosa. Da una parte due intellettuali tedeschi seri e compassati, dall’altra due studentelli calabresi bagnati fradici di pioggia e molto imbarazzati.

Fausto taceva. Io mi presi di coraggio e dissi: “Studiamo al Classico, a Catanzaro… la nostra professoressa ci ha parlato dei greci di Calabria…”

“Ah… i greci di Calabria, magnifico! – irruppe Rohlfs – Cosa sapete dei greci di Calabria? Dove vifono sulla costa o all’interno?”

Io iniziai a sgretolarmi, avevo beccato un altro che mi faceva l’interrogazione. Ma stavolta al pomeriggio e fuori scuola. Doveva essere una trappola. Comunque, non lo sapevo e tirai a indovinare: “…sulla costa, credo…”

“Sbagliato! – ridacchiò Rohlfs – sono nell’interno…”

Stavo iniziando a pentirmi di quel viaggio sotto la pioggia ed iniziai ad arrossire. Ma Rohlfs dovette avere pietà di me e Faustino e ci invitò a bere il tè ed a prendere qualche biscotto. Poi iniziò una dotta spiegazione che ascoltammo a bocca aperta capendo molto poco. Il limite, purtroppo, era tutto nostro.

Alla fine ci regalò una pagina autografa del suo vocabolario e ci disse che avrebbe parlato a Catanzaro al Circolo Unione due giorni dopo… “Venite a sentire…” e noi annuimmo subito vistosamente. Oramai eravamo “amici” del grande Gerhard Rohlfs.

30
Ago
2017

A beneficio dei miei lettori. Seconda puntata. Il mistero degli armeni lontani dal Caucaso

In “Del sangue e del vino” è Papajanni, un tappetaio armeno, a parlare del senso del Destino a Dimitri… Non ho inventato io la presenza degli armeni in Calabria. E’ una delle tante presenze in questa regione crocevia. Un popolo di guerrieri cristiani che arriva sullo Jonio da una provincia remota, all’ombra dell’Ararat, di un Caucaso dalle altezze impossibili visto dalle dolci colline a ridosso del Mediterraneo, fratelli fra i fratelli dentro uno sconfinato Impero Bizantino.13769345_545970325608660_6468359283106192930_n

(Rocca degli Armeni – Foto di Antonio Cuzzilla)

Rocca Armegna, Rocca Armenia, Rocca degli Armeni… in provincia di Reggio Calabria … A più di cento metri sul livello del mare un monolite di arenarie compatte porta su di sé dei ruderi secolari, sono quasi dei frammenti di un castello imponente fiaccato da una serie di terremoti e poi distrutto. Sotto con un dislivello molto pronunciato è adagiato quel che resta  di Bruzzano Vecchia. E’ questa la Rocca calabrese degli Armeni? Pare di no. Gli archeologi dicono che il toponimo sulla cartina è esatto ma che l’insediamento armeno vero e proprio sorgeva poco più a nord-est di quello che conosciamo oggi che fu abbandonato in seguito al devastante terremoto del 1907. Esso era a ridosso di Santa Domenica, dove sorgeva Bruzzano nel 925, distrutto dagli arabi, guidati da Abu Ahmad Gafar Ibn Ubayd. Ad ascoltare quanto si racconta sul territorio, dopo i plurimi crolli per la sequenza di terremoti che colpirono  Bruzzano, i superstiti si divisero fra quella che sarà Ferruzzano, altri intorno al monolite di Rocca Armenia. La presenza degli armeni in Calabria si legge solo attraverso la traccia archeologica. Non vi sono altri tipi di segno lasciati sul territorio della regione se non alcune croci, alcuni pavoni incisi nelle rocce di alcune chiese rupestri del Basso Jonio reggino. E poi alcuni toponimi, alcuni antroponimi, altri resti archeologici di insediamenti… Infine il fascino irrisolvibile di quella grotta oggi discarica che assomiglia a una chiesa rupestre armena ai piedi del monolite della Rocca. Questo rimane di una presenza che dovette essere forte. La ragione vera di questa migrazione è incerta. Contingenti militari spostati a guardia del Thema tis Calavrias dal Serenissimo Imperatore di Bisanzio? L’epoca è remota e oltrepassa i mille anni. Altre derive storiche parlano di probabili profughi che a partire dall’ottavo secolo cercarono rifugio dalla pressione turca ai confini opposti dell’Impero Bizantino, nel Mediterraneo, per contrastare il pericolo che poteva arrivare dalla Sicilia araba. La vallata di Bruzzano fu teatro di guerre dal respiro molto ampio, che riguardavano gli equilibri dell’intero Mediterraneo. Pare che nell’862 il Wali di Sicilia, Ab-Allah Ibn Al-Abbas dopo aver occupato varie rocche bizantine in Sicilia pensò di distruggere anche Qalat-Al Armanin (la Rocca degli Armeni), secondo quanto riferisce un testimone arabo, Al-Aktir. La comunità distrutta trovò la forza di ricompattarsi ma come abbiamo già detto più sopra, nel 925 subì un nuovo massacro. L’arrivo dei normanni nel 1060 porrà fine a questa serie di devastazioni unificando in un’unico regno meridionale Sicilia e Calabria. Non fu una pace del tutto positiva per quelle genti di cultura orientale che abitavano l’area, armeni, greci, ebrei … ma questa, come sempre si dice, è un’altra storia.

20
Ago
2017

A beneficio dei miei lettori. Prima puntata. Io nel pensier mi fiction.

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Il mio romanzo ha molte anime e, forse, non ne sceglie nessuna. C’è il romanzo storico, la tragedia e la commedia, un po’ di thriller, l’avventura e il magico. Insomma tutto ciò che ha costituito il divertissement dello scrittore. Questo perchĂ© la scrittura non è solo controllo, tecnica, disciplina, officina ma anche gioco, emozione, allegria e pianto. Scrivere, insomma, è un piacere e tale spero resti per me per sempre.

L’incubazione di “Del sangue e del vino” è stata particolarmente lunga. Era nato inizialmente come romanzo storico. Poi moltissimo altro vi è diluviato dentro. Ricordi, emozioni, etnografie, immaginazioni, sogni e desideri. Per tutto quanto viene citato di storico nel testo mi sono sempre posto il problema della coerenza. Il vero doveva essere vero insomma e la fiction doveva essere fiction. Poi scrivere ha significato trasferire la visione sulla carta (virtuale o meno che essa sia) e le prospettive hanno iniziato a cambiare. Lo scrittore di un romanzo storico, prima o poi, si accorge degli errori storici che commette. La cosa affascinante è perchĂ© li commette e poi perchĂ© li corregge oppure perchĂ© li lascia in bella evidenza. I celebri errori commessi nella stesura de Il nome della rosa da Umberto Eco (il violino, i peperoni e la zucca che nel medioevo europeo non c’erano) non furono vissuti in maniera pacificata dall’autore che arrivò a correggerli trent’anni dopo e dopo aver venduto milioni di copie.

Walter Scott dimostrò molta più non chalance di Eco consegnando alla posterità alcuni anacronismi. Ivanohe si svolge nel 1194 eppure ha per personaggi un frate francescano il cui ordine ancora non esisteva, un cavaliere templare che duella col sultano di una città allora bizantina (Trebisonda), Robin Hood che ruba una tabacchiera e il tabacco nel medioevo europeo era sconosciuto.

Se il lettore si vuole divertire ancor di piĂą basta curiosare un po’ nel web intorno agli errori e alle invenzioni contenute nel Codice Da Vinci. E’ decisamente impossibile che Brown non si sia confrontato col problema della veridicitĂ  assolutamente improbabile di quasi tutto ciò che scrive in una affascinante minestra impossibile di templari, simbolismi gotici, pentacoli e femminile misticizzante. Per cui, con grande dolore dei sostenitori di un romanzo storico perfettamente scientifico, dobbiamo pensare che Brown si sia piaciuto proprio così.

D’altra parte vorrei oltraggiosamente osservare che pure l’insospettabile Manzoni fa entrare in scena una Gertrude che all’epoca dei (suoi) fatti doveva avere cinquant’anni e non venticinque e che fa convertire l’innominato alias Bernardino Visconti nel 1629 e non nel 1615.

Anche nel mio romanzo vi sono degli errori. Forse meno di pochi. Ovviamente non ve li elencherò tutti ma vi lascio il piacere della scoperta. Non si tratta certamente di refusi e simili ma di quelli di natura “scientifica”. Storici in questo caso. Alcuni lettori me ne hanno segnalato uno che sembrerebbe proprio evidente. Ho già risposto, quasi sibillinamente, che la sua stessa evidenza dovrebbe essere un segnale interessante di per sè ma poi mi sono mosso, a beneficio del lettore, verso queste brevi note.

A un certo punto vi è un intervento di soldati spagnoli e siamo già al principio degli anni dieci del Settecento. In realtà il Regno meridionale era sotto un vicereame austriaco già dal 1707 destinato comunque a durare pochi anni. Come mai il nostro Castagna fa entrare in scena gli spagnoli proprio in quel momento “sbagliato”, fuori dal calendario storico reale?

Iniziamo col dire che è una consapevole ucronia. L’intero romanzo si costruisce su una data iniziale che è il 1668. Quasi al termine della sanguinosa Guerra di Candia, due profughi cretesi sbarcano in Calabria. Parte così questa saga di tre generazioni che culminerĂ  tragicamente alcuni decenni dopo. A quel punto lo scrittore doveva decidere che tipo di personaggi utilizzare per l’affresco finale. Ripensare tutto lo sviluppo temporale e cronologico per proporre improbabili gendarmi austriaci, nuovi padroni dell’Europa, legittimati dalle date della Storia oppure presentare sulla scena soldati spagnoli demotivati, stanchi, male armati, autorevoli Sancho Panza, rappresentanti estremi di un impero all’irreversibile crepuscolo? E’ piĂą affascinante Ombre Rosse o il west decadente dei fratelli Cohen? Ognuno ha i suoi gusti ma io ho preferito l’intervento spagnolo. Se Quentin Tarantino può permettersi di reinventare la morte di Hitler in Ingloriuous Basterds (prego notare che il nostro storpia pure il bastards nel titolo), permettetemi, nel mio piccolo, di poter alterare di tre o quattro anni il calendario storico del Mediterraneo dell’oramai remoto XVIII secolo. Io nel pensier mi fiction.

14
Giu
2017

7 Agosto 2017 – Foculìu, Valle dell’Amendolea (RC) – Trekking e reading/concerto sui luoghi del romanzo insieme all’autore

Il 7 agosto ci sarĂ  la luna piena e la Valle del Leucopotamo (Amendolea) rifletterĂ  la luce con le sue rocce bianche. Avremo allora a che fare con i personaggi,… 7 Agosto 2017 – Foculìu, Valle dell’Amendolea (RC) – Trekking e reading/concerto sui luoghi del romanzo insieme all’autore

08
Giu
2017

Nino… now is in the Cosmic Ear

Nino

Antonino Mazza è stata una delle piĂą brillanti voci della letteratura canadese contemporanea. Proprio lui che era calabrese, di San Roberto d’Aspromonte. Oggi che scompare di scena non trovo modo migliore per onorare la sua memoria che ripubblicare una mia vecchia traduzione di una delle sue liriche piĂą amate. Addio Nino, carissimo e gentile amico …

(Immagine: Antonino Mazza, Ottawa, 1990. Particolare da foto di Salvatore Piermarini)

 

La nostra casa in un orecchio cosmico – Antonino Mazza
traduzione di Ettore Castagna

In un orecchio cosmico di cime affilate e di declivĂ®
dove ginestra e ciclamino in fiore
sono fianco a fianco con gli alberi di limone
vi è la casa dove sono nato.
Questa casa… guardala con gli occhi
di un bambino.
Un villaggio di campane affollato nella strada di velluto,
senza marciapiede. Domenica mattina, senza lunedì.
Com’è? Io stavo correndo a casa, v’erano ciliegie
mia madre aveva il canto di un’usignuolo
fra le labbra?
E nel pomeriggio? Siesta!

Il sole
era un magnete al vertice di un pianeta trasparente
E la nuvola? Il fiato ardente del Sahara fece turbinare
una sola nuvola, sopra il mare,
sopra la Sicilia,
fino a che, avvicinandosi al duro Aspromonte, fragile d’umiditĂ ,
essa si trovò… pronta a squarciarsi.
Ed esplose!
raggiungendo, violentemente, attraverso le stoppie testarde,
la terra.

Dopo il primo scroscio sui tetti di tegole indurite,
i torrenti sinuosi come serpenti d’argilla,
mutavano il loro corso, fuori dalle foreste di betulle,
giĂą per i ripidi pendii vulcanici,
lentamente,
come per ammirare la grazia del panorama austero: le erbe di vento (1)
gialle e rosa risplendenti sulle balze viola
e sulle steppe
la bianca coperta dei fiori d’arancio.
Prima della fine della pioggia mi sarei ritirato
nell’orecchio di mia madre, in silenzio.

Per quattro anni sognai il ritorno di mio padre.
Era un sogno di bimbo.
Era a bordo di una barchetta di porpora, ritornava
alla nostra bella Calabria.
Terra dei Fenici e degli Etruschi, bagnata
dal mare di Ulisse.
Per quattro anni lo attesi su una spiaggia petrosa.
Da dove potevo vedere i mandorli mescolarsi con le piante
d’ulivo
sulle colline,
e la casa ove sono nato.
Era andato a portare doni al mondo.
Sarebbe tornato, presto.

Mi sarei svegliato alla melodia degli usignoli.

Ed il sogno? E’ sera, ma non è buio. Le campane muoiono
nella strada dal blu profondo. Il cielo è un paradiso
di lucciole. Gli aromi dei lillĂ , dei limoni,
diluviano il tepore e la brezza. Il mare è uno specchio
di stelle purpuree. Stiamo cenando in terrazzo stanotte,
nell’aria di cristallo la luna è luce splendente.
Mantengo il ricordo di questo regalo cosmico
nel mio sonno.
Se il sogno non si fermasse, se la parola
se la casa
fosse nella parola e noi, per caso, dovessimo incontrarci,
la mia casa sarebbe la tua casa, prendila.

1) Erba di vento è un’espressione mutuata dal dialetto. Erba ‘e ventu  sta ad indicare un’erba selvatica e dalla  crescita casuale. Affidata al vento, appunto.