E scusate la precisazione…
Ettore, Bruce e una storia assolutamente vera…
Non so in che angolo del New Jersey eravamo finiti quella volta. Newark? Sì… Newark… Ma era una sera di ottobre, poco tempo fa. L’imbrunire anticipato del sole di ottobre… Ettore, Bruce e una storia assolutamente vera…
Io, Muccino e la Calabria
La Calabria e le zone rosse
Anche in questo caso riporto “antologicamente” sul blog un post che ha circolato gloriosamente su Facebook. Era il 22 ottobre e la Calabria affrontava con malcontento la sua prima zona… La Calabria e le zone rosse
Caffè caffè caffè caldo caffè…
Dal 30 luglio “Della Grecìa perduta” in libreria
(Dal risvolto di copertina)
In Della Grecìa perduta torna il mondo magico e selvatico di una Calabria, Sud di tutti i Sud, già scenario di Del sangue e del vino.
Nino, pastore greco sedicenne, ucciso da un soldato spagnolo, dopo aver dormito immerso nel vino novantanove anni, due mesi e diciassette giorni, riprende vita in virtù di un qualche sortilegio. E si inoltra per la campagna deserta. A proteggerlo e a infondergli pensieri è il Dragumeno, una sorta di demone centauro che si manifesta talvolta in varie forme, come faceva con Caterina, sua madre.
Nel suo errare Nino incontra una terra poverissima, dai paesaggi incantevoli, contesa da Francesi e Inglesi durante il breve dominio di Gioacchino Murat, nel cui esercito, con devozione assoluta, si arruola prima di assistere con grande dolore alla fucilazione del mitico Cavaliere. Con essa, infranti il sogno e la speranza di cambiamento, si rimette in cammino, alla continua ricerca della sua Grecìa perduta. E il Nostòs diventa elegia.
L’arcaicità affascinante sgorga come acqua limpida di sorgente, con andamento da favola antica. Sacro e profano, mito, leggenda e storia si intrecciano a una visione panica della natura animata da spiriti dai nomi inconsueti.
Il sapore delle fiabe, le gesta epico-cavalleresche degli eroi ai tempi delle crociate, la Bibbia e la vita dei Santi ad uso del popolo minuto confluiscono e interagiscono con modelli di alta letteratura grazie ad un impasto linguistico che ravviva e rende ammaliante il racconto, legandolo, idealmente, all’Horcynus Orca di Stefano D’Arrigo e all’Oga Magoga di Giuseppe Occhiato.
Garcìa Lorca e un treno spagnolo
Durante gli anni dell’università mi colse grande e fulminante amore per la letteratura spagnola. Leggevo tutto e in lingua originale… Cervantes, Calderon de la Barca e poi i contemporanei… Leon… Garcìa Lorca e un treno spagnolo
Fenomenologia di un uovo fritto
Mia nonna Maria era cieca e aveva paura di aprire la porta a chiunque. Ancor di più, quando era a casa con i nipotini, da sola.
Riconosceva però, dalla voce, dietro la porta l’ovaru.
«Ova e ricotteddi… Ova e ricotteddi…»
«Trasiti bell’omu… Trasiti…»
L’ovaru non mi pareva bello. Ci mancavano tutti i denti ed era sempre scuro e sudato di campagna e viaggio, però posava sul tavolo nel cestino sempre almeno quattro uova belle cacate dalla gallina e, certe volte, una bella ricottedda di latte misto pecora e capra.
Verso le dieci e mezza rientrava mia madre dalla spesa: «Ettorù, u voi l’oviceddu?»
Mia madre ha sempre concepito l’uovo fritto come un mangiare da re. Prima il padellino d’alluminio a calentare bene sul gas, poi l’olio d’oliva a fumare. E, quando la temperatura era al massimo della sua dotta prolusione, ecco cadervi l’oviceddu.
Mia madre sorrideva sempre mentre vedeva montare sfrigolando il bianco nel fumo della frittura, prendeva una ddramma (una parola antichissima, vuol dire una quantità minimale) di sale fino fra le punte di tre dita e lasciava andare sul rosso.
Il padellino mi arrivava fumante sotto il naso con un poco di pitta bianca. In tutta la Calabria si fa la pitta. Però quella bianca, tonda e stretta di Catanzaro, quella del forno del mio rione, quella della carta del pane aperto da mia madre con le mani della quotidiana fatica, quella portata a casa per quattro piani di scale insieme a pomodori, cucuzze e tre etti di carne tritata era la più buona dell’universo.
L’ovu dell’ovaru era, poi, speciale. Credo che quell’uomo arrivasse addirittura da Cardinale o da Chiaravalle a vendere quelle uova e quelle ricotte.
«Va’ e viene sicuro ccu postala… u postala… eh, l’autobussu… comu u chiami tu, niputeddu?»
Per me, tutta la vita, l’uovo al tegamino è rimasto un mangiare da re.
Rifaccio tutto quello che faceva mia madre. Ogni tanto officio il rito se, alla controra, sono a casa. Cerco quell’odore oggi e cerco quel sapore oggi nel rosso dell’uovo col codice a barre sopra la scorza.
Ma non lo trovo mai più.
Il mio “Tredici gol dalla bandierina” su La Stampa
In un articolone sul Grande Massimeddu, l’8 aprile, il giornalista ha avuto la bontà di menzionare il mio romanzo.
Ringrazio la Stampa e tutti i stampini!
Questo il passaggio che parla del romanzo:
«Tredici gol dalla bandierina è un record ed è anche il titolo di un libro di Ettore Castagna, edizioni Rubbettino: il protagonista è un ragazzo di quegli anni e di quel luogo che “sogna vita, musica e rivoluzione rivolgendosi alla figura mitica di Massimeddu”, dialoga con lui, chiede consiglio».
L’intero articolo lo trovate su:
Ettore Castagna, Tredici gol dalla bandierina, Rubbettino, Velvet, 2018