L’America nel 1976

coast-to-coast

Non è certo una scusante avere sedici anni ma fu nell’estate del 1976 che decisi che sarei andato negli Stati Uniti. Un ragazzo texano che andava in giro in Calabria in autostop me lo aveva detto sulla spiaggia di Pietragrande. Scrivi al Consolato USA e chiedi per il visto, fai una lettera piena di motivazioni, mi raccomando, scrivi cose belle.
Allora io che li avevo a schifo gli americani, li avevo a schifo perché c’era stato il Vietnam e c’era l’imperialismo e c’era il Muro di Berlino scrissi una lettera piena di motivazioni.
Dopo un mese spuntò nella buca di casa mia un’altra lettera bianca ma con l’aquila americana stampata… In God ui trast… oh, cazzu! Respundìru…Una lettera con l’aquila americana che mi manda un questionario. Lo vuoi il permesso per entrare negli Stati Uniti? Sì? E compila l’applichescionform…
L’applichescionform ne vuole sapere un sacco e una sporta di cose sopra di me. E allora prova a scrivere, prova a rispondere. Vogliono sapere cose di me che io non so. Sopratutto non so fino in fondo che ci voglio fare negli Stati Uniti. È certo che ci vuole il passaporto e bisogna cacciare centodiecimilalire. Oppure centotrenta… va’ ricordati. Poi, tanto per cominciare, ti devi pagare il viaggio.
Il viaggio è facile. Me lo ha detto Marco di Milano che lo ha fatto. Marco di Milano, alla terza canna sulla spiaggia di Soverato, mi ha detto che tu pigli e arrivi in autostop fino a Liverpool… O è fino a Manchester? Dov’è che c’è il porto? Quando arrivasti a Liverpool o a Manchester pigli e ti giri le navi.
Vai navi navi.
Navi navi.
Muru muru.
Ripa ripa.
Vai navi navi e domandi: «Scusate… lo volete un mozzo fino a Boston? Io vi lavo e vi passo lo straccio a tutte le parti della nave per tutta l’attraversata e voi mi portate fino a Boston».
Marco dice che basta chiedere ai mercantili con pazienza. Piano piano e prima o poi, qualcuno te lo dice sali, lavora e stai zitto per tutto l’Atlantico dickhead…
A mmia dickhead? Ah, bruttu cornutu… Comunque io mi sto zitto e mi passo l’Atlantico gratis con un paio di settimane di nave dopo che sono arrivato da Catanzaro a Liverpool con una settimana d’autostop. O era Manchester?
A diciassettànni a Boston! Ajalà… deve essere proprio ganzosa Boston. Comunque, arrivato all’America e consegnata l’applichescionform, poi è tutto a posto. Prendo i miei diciassettànni, li rimetto nello zaino militare che ho comprato a Napoli, a Resìna per cinquecento lire e me ne vado in autostop a Los Angeles. Me la faccio sana sana la traversata coast to coast.
Mi sparo tutta la Lincoln Highway. Da New York a San Francisco… sissignore! Mi faccio un viaggio on de rod come a GechCheruach. Anzi meglio di GechCheruach e, quando torno ai giardinetti di San Leonardo, vi stampo un romanzo che trema la terra.
Io penso che forse è meglio la Route 66. Si piglia da Chicago e poi ti sciali a passaggi dall’Illinois alla California, come se fosse una spuma al bar Lanzo, u magudocahè.
L’America è l’America, compà…
Io ne so qualche cosa perché il tempo passa ed escono i dischi. Escono i dischi e io me li registro sul mio Grundig a cassette da settantamilalire. Io la strudo la cassetta di Born tu Ran. Sotto e sopra, sopra e sotto. Canto le canzoni di Springsti a squarciagola e non riesco a starci dietro allo slang di Brus e allora me lo invento. Canto e ballo camminando che è troppo forte Brus. Ti fa vedere l’America per com’è… Vedi le Becstrits, vedi Giangolland, Tunderrod. Allora fai che suoni la chitarra nell’aria mentre il registratore consuma batterie Superpila al massimo del volume, poggiato sopra una panchina a San Leonardo oppure dentro di un’aiuola a Piazza Matteotti.
Poi, ti capisci tutto in una volta. Per quello che sei. Un ragazzo di Catanzaro di solo diciassettànni e ti dici: «Ma dove le trovo io centotrentamilalire per il passaporto?»