Giuseppe Fragomeni, a vent’anni dalla morte…

il 4 dicembre 2017 sono vent’anni dalla morte dell’indimenticato amico Giuseppe Fragomeni (1923 – 1997†). Per l’ occasione vi ripropongo un mio vecchio scritto uscito su alcuni periodici del momento già a i primi del ’94 e poi sul volume “Sette Canzoni Orientali” (1999). Il mondo della lira a cui si fa riferimento non è quello odierno delle mode e dei festival ma quello di vent’anni addietro (e anche oltre) per cui lo scritto, che ripropongo integralmente e senza modifiche, va accolto nel suo aspetto storico.

In memoria di Giuseppe Fragomeni
Un ricordo del grande testimone della tradizione della lira nella locride

(Tratto da: Sette Canzoni Orientali, E. Castagna e S. Nucera, Pontari Editore, Reggio Calabria, 1999)

di Ettore Castagna

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Chista è la tirantella di na vota
E’ fatta di sustanza sidernisi
Abballa Pantaleu, Mirtu e Donisi
Sidernu e Lagunia ccu li cuntrati
E ‘ntornu, ‘ntornu ‘ndava degni amici
ballativilla tutta ca vi piaci…
e puru u Fanarra sona! (1)
(Domenico Tropea – Mirto di Siderno – RC)

Negli ultimi anni, almeno una volta la settimana, a casa mia squillava il telefono alle sei del mattino. Io già sapevo chi era e ancora dormendo mi scappava da ridere… “Ettori… cchi faciti? (ironico) Non è ca dormiti? (Ettore… che fate? Non è che dormite? – finto preoccupato) venìti ca u vinu u staiu jettandu tuttu… nu biccheri a vorta però!..” (venite che il vino lo sto buttando tutto… un bicchiere alla volta però!)
Non ho mai bevuto un vino migliore di quello di Giuseppe Fragomeni, maestro di lira di Mirto di Siderno, per tutta la vita carpentiere e potatore, alla fine pensionato per la cifra fiabesca di seicentomilalire al mese.
Giuseppe Fragomeni era di quella inconfondibile allegria della gente della jonica. Un’allegria da professionisti della festa impastata di una visione sacra dell’ospitalità e dell’amicizia, di un senso antico ed oramai smarrito dai calabresi di oggi della dignità della persona. E poi l’ironia… un’ironia infinita fatta di doppi e tripli sensi… di capacità di ridere del mondo senza ferire la persona… ah ah ccu l’amicu a lingua au postu! (ah ah con l’amico la lingua a posto!)
Per tutta la vita, sino all’ultimo respiro Giuseppe Fragomeni, Peppi i Campu, Peppi u Fanarra, è stato un orgoglioso testimone di una cultura musicale emarginata. In tutta la Locride la lira non si ascolta più da anni se non in situazioni sempre più domestiche e isolate.
Come in altre aree della Calabria l’organetto ha finito per prevalere sulla zampogna. E nella Locride esso ha prevalso sulla lira. Fino ai primi anni ottanta, nella stessa Mirto di Siderno, cuntrada di Peppe Fragomeni, Domenico Tropea ed altri mastri, la lira, i fischiotti, la chitarra battente o erano dimenticati o erano considerati roba vecchia da ascoltare con rispetto “archeologico”. Anche per chi amava il ballo tradizionale l’organetto era oramai l’unico riferimento. Il nostro contatto ha in qualche modo smosso le acque. I paesani hanno visto Fragomeni partire per i palchi e per i festival, decine di forestieri venire ad acquistare una lira, registrare le sonate, cercare di imparare. Ciò in qualche modo ha contribuito a mettere parzialmente in discussione nell’area l’enorme rifiuto culturale che ha spazzato via la lira dalla cultura musicale della locride. In sostanza la sua identificazione con un passato prossimo di spaventosa miseria, emigrazione, sfruttamento.
Nella campagna calabrese, come altrove, la modernità è stata identificata con la plastica, il cemento, le provole Galbani, la biancheria industriale. Una nipote di Fragomeni emigrata a Roma mi raccontava di aver buttato nella spazzatura nei primi anni settanta tutto il corredo di lino, ginestra e lana filato e tessuto a mano al telaio da sua madre. Sostanzialmente un capitale inestimabile. Ma a lei faceva repulsione. Equivaleva a lavare i panni alla fiumara, era camminare scalzi. Era un mondo che si voleva dimenticare in città, a tutti i costi. Giuseppe Fragomeni invece non ha mai voluto dimenticare. Faceva perfette miniature in legno di mangani e di aratri (“Chista sì era fatica, no mo’…cchi sapiti vui d’a fatica? ” – “Questa sì era fatica, non adesso… che sapete voi della fatica?). Intagliava eleganti cucchiai per la ricotta. Costruiva lire perfette. La sua memoria storica della vita nel mondo contadino non si è mai interrotta.
Come tutti i contadini Pepp’i Campu era un fiero antimilitarista. Ma assolutamente selvatico, senza “discorsi”, come sanno essere i contadini del Sud. Un antimilitarismo semplice quello dell’uomo al quale non va di ammazzare i suoi simili. Punto e basta. A vent’anni giusti, costretto a partire per il fronte dai carabinieri di Siderno, disertò dopo pochi giorni di servizio militare. Era il settembre del ’43. Tornò a piedi da Mantova a Siderno. Mille e trecento chilometri a piedi sotto le bombe, attraverso la linea gotica. A casa… verso gli ulivi, le giare meravigliose, lo Jonio scintillante. Meglio l’ascia e la roncola che il mitragliatore.
Fra noi (2) e Fragomeni si è innescato un rapporto dai molti aspetti. Uno era quello dell’ enorme gratitudine reciproca. Lui ci ha raccontato gli aspetti e la storia di un mondo musicale che ci appassionava. Noi abbiamo ridato protagonismo ad una musica ed ad un musicista “dimenticato”.
Siamo stati amici per quasi vent’anni abbiamo suonato insieme centinaia di volte, mille volte elogiato il suo vino, lo stocco di Mammola e le cime di capperi sott’olio di sua moglie. E vedersi è sempre stato un piacere. Fragomeni non è mai stato per noi un oggetto di ricerca ma un compagno di strada. Insieme facevamo qualcosa per la lira. Lui era il maestro e noi gli apprendisti. Quando qualche tempo addietro osservammo che alla sua età doveva avere qualche riguardo in più per la salute ci rispose: “non parlatimi di medici… a mia parlatimi sulu di lira e di vinu…” (non parlatemi di medici… a me parlatemi solo di lira e di vino)
Fragomeni non era un ubriacone. Aveva una visione del vino assolutamente “colta”. Qualche cosa di lirico ed addirittura intellettuale come ho trovato in certe quartine di Omar Kayyam. Le sue storie di musica sono sempre storie di grandi bevute. I suonatori partivano per andare a trovare un amico e poi si perdevano sempre in una spirale di tempo sospeso. Senza sonno, in un viaggio estatico di musica e di vino ininterrotto. L’ebbrezza, l’allegria, la notte, il giorno, la lira ed i fischiotti, il ballo ed il cammino fra una casa e l’altra erano le componenti di una particolare dimensione. Un mondo senza tempo occidentale. Una sorta di culto dionisiaco in cui il suono è al centro. Ed il ballo. Ed il rispetto verso il cantore ed il suonatore. Chi “porta” il suono è il demiurgo officiante di un cosmo ammorbidito dall’aria profumata della Jonica e dal vino. Giuseppe Fragomeni ci ha insegnato questo mondo. E con lui il grande cantore tradizionale Domenico Tropea, Micu Tropìa, scomparso oramai nel 1988. Anche Micu Tropia era un professionista della festa. Straordinario improvvisatore di rime a braccio, suonatore di fischiotti e chitarra battente, cantore instancabile e capace di toccare il cuore Micu Tropia è il più grande mastru cantatura che abbia mai conosciuto. Forse ad eccezione dell’altrettanto grande quanto misconosciuto Zù Pantu, Pantaleone Lumastro di Papanice (KR) maestro di canto di Salvatore Megna (3).
Un mese addietro, Fragomeni era già pressoché immobilizzato dalla malattia. Una sera a casa sua mi chiese di suonare mentre il barbiere gli tagliava i capelli. Era un fiero artigiano e si piccava di fare meglio le cose di chiunque altro. Per questo si tagliava i capelli da sé e per la prima volta da quando si era sposato il barbiere entrava in casa sua. Era una mesta occasione per Pepp’i Campu abituato ad arrampicarsi con l’ascia sulle olivare. Per un contadino la mobilità è tutto, è il centro della grazia di Dio. La salute no, in fondo si vive e si muore quando è destino. In fondo la campagna si affronta anche da malati. Basta potersi muovere. Invitare il barbiere era un fatto brutto, era avere perduto un pezzo importante del poter vivere. Il barbiere si stupì del perché un cittadino si interessasse a quella roba vecchia e paesana ed a quel punto Rosa la figlia di Peppe ruppe il silenzio: “Eh no! Una volta questo era uno strumento dimenticato… adesso per merito di questi amici non è più così…” (4) A Peppe Fragomeni, malato e curvo, brillarono gli occhi mentre commentava con tono di sfida ironica all’indirizzo del barbiere “… e vidistivu comu si ‘mparau bbonu?! … e sutta de illu tanti!… pensati ca esti nu professuri di Catanzaru!…” (…avete visto come ha imparato bene?!… e lui ha insegnato a tanti! … pensate che è un professore di Catanzaro!…).
Giuseppe Fragomeni si è spento il 4 dicembre del 1997.
(1) Questa è la tarantella di una volta/ è fatta di sostanza sidernese/ Balla Pantaleo, Mirto e Donisi, Siderno e Lagonia con le contrade/ E tutt’intorno ci sono degni amici/ ballatevela tutta che vi piace/ … e suona pure il Fanarra (soprannome di Giuseppe Fragomeni).
Si tratta dell’intestazione. Brevi versi a braccio che nella tradizione si improvvisano per “lanciare” una tarantella all’attenzione degli astanti. Per il “suono” storico della lira si veda: La lira in Calabria – CD audio (cura del booklet e partecipazione ale registrazioni on field) Nota Records, CD623, 2008
(2) “Noi” si riferisce al gruppo Re Niliu.
(3) Storico membro del gruppo Re Niliu.
(4) Rosa Fragomeni non si riferisce solo allo scrivente e a Sergio Di Giorgio del Re Niliu. Un particolare rapporto di stima ed amicizia ha legato Giuseppe Fragomeni inoltre a Mimmo Vazzana e Claudio Messineo e a Gabriele Russo musicista con il gruppo medioevale Micrologus. La stessa attività di costruttore di lire di Giuseppe Fragomeni ha ricevuto un forte impulso dal contatto continuo con questo gruppo di amici. Ad es. Giuseppe Fragomeni ha sempre partecipato direttamente agli stages di lira tenuti dallo scrivente fino agli ultimi anni di vita. Tali attività hanno consentito il recupero e la diffusione in vari ambiti dell’antico cordofono calabrese. In generale su Giuseppe Fragomeni e sulla lira si veda anche “La lira, il cliché dell’etnografo, la nostalgia e il rock’n’roll”, Ettore Castagna, Folk Bulletin n.3, anno IX, aprile 1997 oppure lo stesso articolo su Quaderni Calabresi, n. 88, luglio/settembre 1997.