Fenomenologia di un uovo fritto

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Mia nonna Maria era cieca e aveva paura di aprire la porta a chiunque. Ancor di più, quando era a casa con i nipotini, da sola.
Riconosceva però, dalla voce, dietro la porta l’ovaru.
«Ova e ricotteddi… Ova e ricotteddi…»
«Trasiti bell’omu… Trasiti…»
L’ovaru non mi pareva bello. Ci mancavano tutti i denti ed era sempre scuro e sudato di campagna e viaggio, però posava sul tavolo nel cestino sempre almeno quattro uova belle cacate dalla gallina e, certe volte, una bella ricottedda di latte misto pecora e capra.
Verso le dieci e mezza rientrava mia madre dalla spesa: «Ettorù, u voi l’oviceddu?»
Mia madre ha sempre concepito l’uovo fritto come un mangiare da re. Prima il padellino d’alluminio a calentare bene sul gas, poi l’olio d’oliva a fumare. E, quando la temperatura era al massimo della sua dotta prolusione, ecco cadervi l’oviceddu.
Mia madre sorrideva sempre mentre vedeva montare sfrigolando il bianco nel fumo della frittura, prendeva una ddramma (una parola antichissima, vuol dire una quantità minimale) di sale fino fra le punte di tre dita e lasciava andare sul rosso.
Il padellino mi arrivava fumante sotto il naso con un poco di pitta bianca. In tutta la Calabria si fa la pitta. Però quella bianca, tonda e stretta di Catanzaro, quella del forno del mio rione, quella della carta del pane aperto da mia madre con le mani della quotidiana fatica, quella portata a casa per quattro piani di scale insieme a pomodori, cucuzze e tre etti di carne tritata era la più buona dell’universo.
L’ovu dell’ovaru era, poi, speciale. Credo che quell’uomo arrivasse addirittura da Cardinale o da Chiaravalle a vendere quelle uova e quelle ricotte.
«Va’ e viene sicuro ccu postala… u postala… eh, l’autobussu… comu u chiami tu, niputeddu?»
Per me, tutta la vita, l’uovo al tegamino è rimasto un mangiare da re.
Rifaccio tutto quello che faceva mia madre. Ogni tanto officio il rito se, alla controra, sono a casa. Cerco quell’odore oggi e cerco quel sapore oggi nel rosso dell’uovo col codice a barre sopra la scorza.
Ma non lo trovo mai più.