Ettore, Bruce e una storia assolutamente vera…

Non so in che angolo del New Jersey eravamo finiti quella volta. Newark? Sì… Newark… Ma era una sera di ottobre, poco tempo fa. L’imbrunire anticipato del sole di ottobre accompagnava una festa di amici. Quasi tutti italo-americani, come se ci fossimo ritrovati e riconosciuti dall’odore. Ma comunque era un festa tranquilla di gente tranquilla. Niente di esagerato, una di quelle cose che si fanno per stare insieme, per poter parlare fra musica e tintinnio di ghiaccio nei bicchieri. Tutto il tempo avevo addosso gli occhi di lei. Portoricana, non bellissima ma bella e discretamente intellettuale nei modi. Fascinosa. Un classico direi da East Coast degli Stati Uniti. La serata trascorse senza che si avvicinasse mai per davvero. Si suonava ma a gruppetti, in una grande casa, mi pare fosse a Newark con la vista sulla città, da un terrazzo magnifico, pieno di piante. Una serata tiepida nel New Jersey. Capitammo sullo stesso divano a fare la chiacchiera io e Bruce. Ma a me parve tutto davvero normale. Non dissi “Guagliò, tu sei Bruce Springsteen!”. No, non lo dissi e il tempo passò dall’inizio parlando di chitarre elettriche. Io per esempio la tua fissazione per la Telecaster non l’ho mai capita. Troppo pesante, troppo roba da animali da palco. Io ho una Stratocaster Japan da quarant’anni e non mi sogno nemmeno lontanamente di cambiarla.
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Juana è portoricana con un inglese perfetto, mica come il mio. Questa volta si avvicina per chiederci se lo vogliamo un softdrink ma io lo capisco che è una scusa per attaccare bottone. Eh, no Juana, no. Non lo vedi che sto parlando con Bruce? Aspettavo di parlargli dal 1976. Da quando andavo in giro ai giardinetti di San Leonardo. E sentivo Jungle Land al massimo del volume consumando quella cassetta. Vai e vieni, vai e vieni. Vorrei tanto saperlo chi è Magic Rat ma non te lo chiedo. Quel testo è, però, davvero bello… Comunque, Bruce, ti devo dire che questa Gibson acustica che hai adesso in mano è meravigliosa, dispiace quasi di suonarla su questo divano. Ma la serata è così dolce, con quelle luci su Newark e tutto questo cristallo di palazzi e grattacieli con lontano l’aeroporto che la Gibson ci sta proprio bene. È comico sentirti dire qualche parola napoletana, e già, deve essere un ricordo di tua madre. Ma stai tranquillo che se canto io non ci capisci assai. Spesso canto in dialetto. Mescolo rock e cose roots. Sì, sì una cosa italiana… Sì, sì, una cosa del Sud… No, Bruce non è TexMex ma nello spirito forse sì, ci assomiglia.
La Gibson risuona sul divano, fa vibrare la pelle finta delle poltrone. Puoi suonare tranquillo qua Bruce, chi vuoi che ti prenda la chitarra di mano? Ci sono pure quelli che suonano due ukulele in fondo al salone ma fanno quasi piano. Tutti fanno finta di niente ma lo sanno che ci sei a questa festa. Ti rispettano anche se tu suoni e canti su questo divano perché te lo abbiamo chiesto, lo fai per cortesia, non per narcisismo… come farei io. Guthrie, Seeger… Sì, piacciono pure a me. Ma a voi americani immagino piacciano di più. Di colpo sono le quattro del mattino e siamo tutti sempre più distesi, le luci sempre più basse. È chiaro che dormicchieremo tutti quanti ai nostri posti sino all’alba. Ognuno cerca un angolo, un cantuccio. Juana si avvicina e me la trovo accanto. La sua testa sulla mia spalla e la cosa mi imbarazza. Non me la sento di limonare, Juana, con Bruce accanto che dorme. E se si sveglia? Pensa che sono il solito turista italiano?Juana a sinistra e a destra Bruce con gli occhi chiusi, la Gibson fra le braccia come un bambino, i piedi sul tavolino dammezzo ai drinks.
Mi dico che è stata una serata straordinaria e che manco un selfie mi sono fatto con Bruce. E chi ci crederà mai che ci siamo passati una bella serata a Newark cantando canzoni di Guthrie e di Seeger? Mi cerco allora il telefono in tasca. Lo cerco ma non lo trovo. Lo cerco ma non lo trovo. Lo cerco ma non lo trovo. Poi lo sento quel suono. Forse è un aereo che passa. Forse è come un sibilo. Forse è l’app sveglia del mio telefono. Lo cerco ma non lo trovo. Lo vedo bene. Sì lo vedo. È il mio letto di Bergamo. Non siamo a Newark. Niente New Jersey. Buongiorno professò. Anche oggi ti tocca fare lezione. Lasciatemi andare verso la macchinetta del caffè.